02 Nov Le parti di me
“E’ controproducente che il terapeuta rimanga opaco e nascosto al paziente. Ci sono tutte le ragioni per rivelarsi al paziente e nessuna buona ragione per nascondersi”. I.Yalom
Oggi ti voglio parlare delle parti di me. Credo, come dice Yalom, che sia utile accorciare le distanze.
La parte di me Terapeuta è nata e si è costruita nel tempo. Appassionata da sempre di filosofia e materie umanistiche, ho capito ben presto che le persone e il loro entrare in relazione, mi affascinavano.
Ero una ragazza però, che ancora non sapeva cosa avrebbe voluto fare da grande.
La parte di me Adolescente ha incontrato alcune difficoltà. Di salute, tanto per cominciare.
Una malattia che non ti aspetti, durante l’università, che ti sconvolge i piani (avevo ormai scelto psicologia) e la mia prima analisi per accettare rabbia, paura e tristezza.
La mia analista era una donna accogliente ma decisamente di poche parole.
Ricordo rotoli di kleenex, tante lacrime e una frase: “Tu sei il brutto anatroccolo che è diventato cigno, ma non lo sa”.
La parte di me Bambina era impaurita e insicura, ma piena di energia e di voglia di trovare la mia strada.
L’università e poi la scuola di specialità in Analisi Transazionale.
Ero, senza saperlo, già attratta dalle parti di sé, che per Berne si traducono in Genitore, Adulto e Bambino.
“Ogni individuo è spinto dal suo copione a ripetere più e più volte gli stessi schemi di comportamento, per quanto si rammarica delle conseguenze”. E.Berne
Sono stati 4 anni intensi, impegnativi, di lavoro, tirocinio (ricordo ancora il mio primo paziente e la paura di ‘Non farcela’, come fosse ieri) e un nuovo percorso di analisi durato 5 anni.
La mia nuova terapeuta, analista transazionale, aveva un altro approccio. Per Berne, in terapia, non ci sono l’analista e il paziente, ma due persone, entrambe OK, che lavorano insieme per raggiungere un obiettivo condiviso.
Intanto la mia parte Adulta stava costruendo una famiglia, da cui sono nate due bambine, che hanno fatto emergere la mia parte di accudimento e cura.
Ma posso dire che la mia parte Terapeuta aveva ancora bisogno di essere nutrita.
Ho iniziato a praticare la mindfulness, scoperta per la prima volta grazie ad un’insegnante molto competente, Carolina Traverso, e poi via via con altri maestri.
“Impegnarsi alla semplicità, in questa vita frenetica richiede un delicato equilibrio, correzioni, indagine costante, attenzione. Ma trovo che il concetto di semplicità volontaria mi rende consapevole di ciò che è importante, di un’ecologia della mente, del corpo e del mondo”. J.K.Zinn
Ok mi piace, mi dico.
Scopro e sperimento la consapevolezza di stare nel qui ed ora. Capisco quanto una cosa così semplice sia in realtà molto difficile da mettere in pratica.
“Il Modello mindfulness porta a credere che osservare i propri pensieri, sentimenti ed esperienze corporee con interesse, curiosità e compassione possa portare ad un cambiamento positivo”. J.Fisher
Faccio mio il NON GIUDIZIO nei confronti di me e dei miei pensieri, li osservo, senza darmi addosso o criticarmi. Molto difficile, a volte mi riesce, molte altre no, ma va bene anche questo, mi dico.
Poi scopro l’EMDR.
“Il trauma è l’unico stimolo che conosciamo a cui basta verificarsi una volta sola per essere condizionante. Ogni esperienza traumatica lascia tracce indelebili”. J.Fisher
Il lavoro sul trauma, ma in un modo nuovo, inizia a piacermi. Ammetto che all’inizio ero scettica, me ne parlò per la prima volta un’amica e collega, che lo sperimentò su di me.
Lì per lì non mi parve nulla di che, ma ricordo che al termine piansi.
Vedere una persona che elabora un trauma con l’EMDR è molto affascinante, si può osservare la mente che vaga alla ricerca di una soluzione, che possa guarire la ferita, finchè questo accade.
Il viso si distende, la persona ride sollevata e si accorge, che quello che fino a poco tempo prima scatenava emozioni forti, ora si trova sullo sfondo, ricollocato nel tempo in cui è stato. Non fa più male.
“L’obiettivo nel trattamento del trauma non è ricordare quel che è successo, ma la capacità di essere ‘qui’ e non ‘lì’”. (V.D.Kolk)
La mia parte terapeuta continua a cercare.
“L’idea che ogni parte rappresenti un modo per sopravvivere a condizioni pericolose, che ognuna rappresenti una modalità diversa di autoprotezione, dà significato e dignità alla frammentazione. Le parti di sé sono state quindi un modo per sopravvivere al peggio del peggio, non un modo per ricordarlo”. J.Fisher
Siamo fatti di parti, che lavorano per permetterci di sopravvivere all’ambiente e alle condizioni in cui ci troviamo a crescere. Ogni parte ha un ruolo o ci è servita in passato.
“Interessarsi è il primo passo per conoscere l’altro, anche quando l’altro è una parte di sé”. J.Fisher
E ancora:
“Ognuno desidera piacersi, ma disconoscere le esperienze traumatiche o le parti vulnerabili, piene di vergogna, arrabbiate o depresse che conservano il ricordo delle esperienze traumatiche, dà luogo ad una profonda alienazione da se stessi “Non so niente di me, ma una cosa mi è chiara: non mi piaccio”….
…Fare amicizia con le nostre parti significa accettare radicalmente che condividiamo il nostro corpo e la nostra vita con dei ‘coinquilini’ e che per vivere bene con noi stessi dobbiamo vivere in maniera amichevole e collaborativa con tutti i nostri sé, non solo con quelli che ci mettono a ostro agio”. J.Fisher
E’ un lavoro stimolante, fatto di scoperte, di relazione, di reciproci adattamenti, che permettono a quella relazione unica, di produrre dei cambiamenti.
Il mio cammino come terapeuta è ancora lungo mi auguro, pieno di nuove scoperte e di strumenti che ciascuno di noi decide di far propri e si cuce addosso.
Anche il mio cammino come mamma, donna e moglie è in continuo divenire.
Penso che la vera sfida in fondo sia proprio quella di accettare che le cose cambiano, trovando il proprio modo, unico, di stare, con consapevolezza e curiosità.
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